parole soltanto parole

Ti sei mai chiesto cosa comprendono i pazienti delle parole che rivolgi loro?
Di questo si sono occupati alcuni fisioterapisti dell’Università di Oxford e, il risultato della loro ricerca, è stato pubblicato sulla rivista “Musculoskeletal Disorder”.
Sono state prese in esame alcune parole molto utilizzate nel contesto fisioterapico ed in particolare quando si parla di mal di schiena.
Ovviamente non posso parlare di tutte le parole descritte nello studio, ma mi soffermerò su alcune di esse che ritengo molto interessanti.
Iniziamo da una parola molto utilizzata, a volte forse quasi abusata, quando si parla di mal di schiena, ovvero mal di schiena “aspecifico”: questo nuovo modo di definire il mal di schiena può creare incomprensioni tra fisioterapista e paziente. Tale termine, infatti, potrebbe indurre il paziente a pensare che il fisioterapista ritenga non esista nessuna causa al suo problema, che magari se lo stia immaginando e ancora che in termini di trattamento si possa avere quindi la necessità di fare accertamenti, per individuare effettivamente la causa del dolore. Alcuni pazienti reclutati per lo studio pensano che questo termine indichi che il dolore non è localizzato in una regione specifica del corpo.

 

Altra parola di cui voglio parlarti è “cronico”: per molti, con questo termine si indica una condizione molto severa, per altri una condizione non curabile, per altri ancora una condizione caratterizzata da un dolore costante.
La parola “ricorrente” invece, in contrasto col termine “cronico”, viene interpretata dai partecipanti come espressione di una condizione meno severa, caratterizzata da un dolore non persistente, ma che va e viene.
La quarta parola è invece “debolezza muscolare”; i pazienti non hanno particolare familiarità con questo termine nel contesto del mal di schiena. Alcuni pensano che questa condizione sia causata dall’inabilità ad esercitarsi, o a muovere il corpo.
Instabilità” è una parola con cui i pazienti hanno pochissima familiarità. Alcuni manifestano
preoccupazione rispetto a questo termine, in quanto lo interpretano come espressione di qualcosa di permanente, rispetto a cui non ci si possa mai rilassare.
Il termine “nervo intrappolato” è molto utilizzato anche dai partecipanti allo studio, ma in realtà è purtroppo poco compreso. Le spiegazioni che i pazienti danno sono infatti diverse: secondo alcuni significa che il nervo sia bloccato da dischi e vertebre, come fosse incastrato, per altri invece il termine va ad indicare la presenza di un’infiammazione.
La settima parola di cui volevo parlarti è “coinvolgimento neurologico”; la maggior parte dei pazienti associa questo termine ad un qualcosa di legato alla testa ed al cervello. Questo è uno dei termini che, in assoluto, allarma di più il paziente.
Come hai avuto modo di notare, alcune parole non vengono ben comprese dai pazienti; questo può portare ad emozioni negative e sappiamo che l’emozione nella gestione del dolore ha un ruolo rilevante.
Quindi quali sono le parole più giuste per comunicare con i nostri pazienti?
In realtà, non esistono parole che vanno bene per tutti perché il significato che i pazienti e che noi stessi attribuiamo ad esse, dipende da molti fattori personali, come la cultura, le esperienze precedenti, ecc…

Quindi, non esistendo un modo valido per comunicare con tutti, quale potrebbe essere la regola d’oro da utilizzare, affinchè la comunicazione possa essere ottimizzata alla persona?
A questo proposito mi viene in mente un vecchio adagio, che recita più o meno così:

“Non devi parlare come mangi, ma devi parlare come mangiano loro”.

Ad maiora.

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