Comportamentismo e fisioterapia

INTRODUZIONE: Il Comportamentismo è stata sicuramente la corrente psicologica che ha avuto il maggior impatto nel secolo scorso. Diverse tecniche, sviluppate dai comportamentisti, sono applicate con successo anche in fisioterapia, in particolare nel trattamento della paura associata al movimento. Questo scritto non vuole essere una trattazione completa sull’argomento “comportamentismo”, vi sono già molti testi anche ben fatti, e quindi risulterebbe inutile. Lo scopo che si prefigge questo “Quaderno” è di aiutarti a comprendere il background culturale e scientifico in cui sono state scoperte queste tecniche al fine di utilizzarle al meglio. I quaderni della formazione, rappresentano uno degli strumenti didattici della FisioCoaching School e vengono forniti ai discenti durante il percorso didattico, per avere una solida base di informazioni. Sono l’equivalente degli appunti: dei punti salienti che prendi durante le lezioni, già risistemati e in bella copia. Nella nostra scuola abbiamo suddiviso la seduta riabilitativa in 7 passi, al fine di aiutare i discenti a comprendere dove e come utilizzare lo strumento acquisito. Le tecniche comportamentali possono essere utili per rilassare il paziente, trattare una fobia di movimento e pertanto possono essere inserite nel blocco “Trattamento”, oppure possono essere utili nel blocco “Compiti per casa” al fine di rinforzare un comportamento utile come ad esempio una coping strategy positiva.

COMPORTAMENTISMO E FISIOTERAPIA

Il comportamentismo nasce nel 1913 con la pubblicazione da parte di J.B. Watson di un articolo dal titolo: “La psicologia così come la vede il comportamentista”. Watson era un giovane trentacinquenne che aveva ottenuto il suo dottorato in psicologia presso la Chicago University. L’articolo da lui scritto fu di grande successo e suscitò grandi entusiasmi tanto che, solo 2 anni dopo, fu eletto presidente dell’APA (Associazione Psicologi Americani). Il principio base del comportamentismo è lo studio del comportamento esteriore, e quindi osservabile, piuttosto che dei processi mentali interni non osservabili, estremamente vaghi, mal definiti e sopratutto estremamente soggettivi (Nell’ultimo paragrafo vedrai come, grazie alla PNL, si può andare oltre questo concetto per ottenere risultati più veloci). Per tale ragione i comportamentisti decisero di escludere la coscienza e i processi mentali, in quanto fenomeni non oggettivabili con procedure d’indagine rigorose. I comportamentisti pongono la loro attenzione sul comportamento esteriore in quanto direttamente osservabile e costituito dall’insieme di risposte fisiologiche, muscolari e ghiandolari. Il condizionamento classico è uno dei capisaldi della psicologia comportamentale. La sua scoperta si deve al fisiologo russo, premio Nobel per la Medicina (1904), Ivan Pavlov (1849-1936). Il concetto fondamentale del condizionamento classico è che gli organismi (animali e esseri umani) apprendono l’associazione tra stimoli. Pavlov misurava la salivazione di un cane durante la visione del cibo che induceva nell’animale un aumento della salivazione. Associò per diverse volte lo stimolo visivo del cibo con il suono di un campanello. La ripetizione di questa associazione per diverse volte fece si che i 2 stimoli si associassero fin quando il solo suono del campanello era sufficiente per produrre la salivazione nel cane quindi lo stimolo inizialmente neutro diventava condizionato. Le 2 principali condizioni che regolano questo tipo di apprendimento sono: -La continuità temporale tra le variabili in gioco. -La ripetizione per un numero sufficiente di volte.

Maggiore è il numero di ripetizioni, maggiore sarà la regolarità della risposta, questo concetto prende il nome di rafforzamento. Ciò significa che la ripetizione produce un vero e proprio rinforzo della risposta. Se, ad esempio, una persona viene aggredita da un cane potrebbe sviluppare una comportamento di paura quando vede un cane. Se questa aggressione avviene più volte la risposta sarà più facilmente evocabile. Se lo stimolo incondizionato (la visione del cibo nell’esperimento) viene omesso ripetutamente, allora la risposta condizionata perde di intensità fino a scomparire, estinzione. Ciò significa che, se si vuole ottenere una determinata risposta utilizzando il riflesso condizionato è necessario “allenare” (Riproducendo l’associazione) una determinata risposta altrimenti si rischia di perderla nel tempo. L’estinzione non comporta la perdita totale della possibilità di produrre la risposta condizionata; vi puo’ infatti essere un recupero spontaneo anche se lo stimolo incondizionato non viene presentato. La risposta può anche subire un processo di generalizzazione ovvero anche stimoli differenti da quello condizionato producono risultati. Un esempio può essere rappresentato da una persona che è stata aggredita da un rottweiler. Questa persona potrebbe generalizzare la risposta e aver paura anche nei confronti di un chihuahua. Molto spesso i nostri pazienti, possono avere una risposta dolorosa a seguito di un movimento. Capita spesso che ci siano pazienti che riferiscono di aver avvertito una fitta a livello della colonna lombare, estendendo la colonna vertebrale dopo essersi lavati i denti. Interpretando questa sensazione come danno, reale o potenziale, il paziente percepirà dolore. Il dolore molto spesso si accompagna a una reazione fisiologica di paura che è utile a far si che l’individuo eviti di riprodurre quel movimento al fine di permettere un’adeguata guarigione tissutale. Questa risposta potrà però associarsi allo stimolo di movimento producendo una risposta condizionata di paura, concetto che vedremo in maniera più estesa quando parleremo degli studi di Watson. La paura e l’ansia di stimolazione dolorifica sono amplificatori delle nostre percezioni e questo può spiegare, in parte, i fenomeni di cronicizzazione. Oltre a essere utile per spiegare in parte i fenomeni di cronicizzazione, il condizionamento semplice, può essere impiegato a livello terapeutico per indurre uno stato di rilassamento utile per il paziente. Sappiamo infatti che in molti pazienti un temperamento ansioso può portarli a sviluppare contratture muscolari ad esempio ai muscoli del collo e in particolare al trapezio. Indurre più volte uno stato di rilassamento fornendo uno stimolo utilizzabile dal paziente può far si che il paziente possa evocare quel particolare stato emotivo semplicemente rievocando lo stimolo. La cosa straordinaria è che questa tecnica richiede pochi minuti e può poi essere utilizzata dal paziente come autotrattamento. Wat s o n ( 1 8 78- 1 9 5 8 ) c h e è stato definito il  padre del comportamentismo, utilizzò i concetti del condizionamento semplice, in uno studio eticamente discutibile, su di un bambino di nome Albert. L’obiettivo che Watson si poneva era quello di dimostrare come la paura è un comportamento appreso e studiare l’evoluzione del condizionamento nel tempo. Albert, un bambino di un anno di età giocava con un topolino senza paura. Dopo diverse esposizioni alla visione del topolino con rumori intensi che spaventavano il bimbo, si creò la risposta condizionata ovvero la visione del topolino era sufficiente a spaventare il bimbo. Questa risposta fu generalizzata in quanto la semplice visione di una pelliccia bianca (lo stesso colore del pelo del topolino) portava il bimbo a produrre una risposta di paura. S ucce s si va m e nte, la m a n cata esposizione al suono forte, portava l’estinzione della risposta, che però era semplice da ristabilire. Possiamo i m m a g i n a r e q u e sto co m e i l riprendere ad andare in bicicletta dopo un lungo periodo di inattività. Il fatto che per diversi anni non si vadi in bici può far si che vi siano delle difficoltà (estinzione) ma basta provare alcune volte e si ristabilisce facilmente la traccia neurale precedentemente stabilita. La paura di un movimento può anch’essa quindi essere appresa e magari generalizzata anche con altri movimenti. Questo spiega bene come i comportamenti di paura e di evitamento del movimento in genere possa strutturarsi nei nostri pazienti. Il solo schema di condizionamento Pavloviano non era però sufficiente a spiegare in che modo gli organismi operassero effettivamente sul mondo. Thorndike (1874-1949), altro comportamentista, nel 1931 descrisse quelle che furono chiamate le due leggi dell’apprendimento che erano il risultato dei suoi studi: – La legge dell’effetto: una risposta che evoca un effetto piacevole tende a essere ripetuta mentre una che evoca una risposta spiacevole tende a non essere ripetuta. – La legge dell’esercizio: la ripetizione di una risposta diventa sempre più probabile quanto più spesso viene ripetuta. Gli esprimenti di Thornidike utilizzavano animali chiusi in gabbie meno evolute di quelle che userà successivamente Skinner nei suoi esperimenti. Skinner (194-1990), nel 1938, inglobò questi concetti in quello che chiamò “condizionamento operante”, facendo riferimento a una risposta che veniva emessa senza lo stimolo attivatore. La cosa interessante e differenziante del condizionamento skinnerianno, è che la risposta precede lo stimolo a differenza di quello pavloviano in cui la risposta segue lo stimolo. I tre parametri che determinano il rinforzo sono: -La quantità del rinforzo per cui quanto maggiore è il rinforzo, tanto più rapida è la velocità di apprendimento; -Il tempo: tanto più il rinforzo è simultaneo, tanto maggiore è la velocità d’apprendimento; -La natura del rinforzo, qualità dell’agente rinforzante. Più l’agente rinforzante è gradito o sgradito dal soggetto tanto più velocemente si assocerà la risposta. Gli studi di Skinner avvennero mediante un sistema detto la Skinner Box. Era una gabbia in cui venivano inseriti gli animali (topi). La gabbia era dotata di una leva che se premuta dava del cibo all’animale (rinforzo positivo). Inizialmente il topo premeva accidentalmente la leva ma, pian piano, avveniva un vero e proprio apprendimento e il topo la premeva ogni qualvolta voleva del cibo. Se il meccanismo veniva riprogrammato togliendo il cibo, l’animale, progressivamente dava atto all’estinzione del comportamento. Skinner è considerato lo psicologo più eminente del XX secolo secondo quanto pubblicato su APA (Associazione Psicologi Americani). Le implicazioni di carattere pedagogico/riabilitativo di questi concetti riguardano la necessità da parte nostra, durante la sessione terapeutica, di dare feedback ai pazienti che siano:

-Ripetuti, in modo che siano quantitativamente validi;

-Simultanei all’esecuzione dell’esercizio.

Per esempio: “Bravo, stai svolgendo bene l’esercizio, perché stai prestando attenzione all’esecuzione corretta del movimento”; -Rinforzi che generano una sensazione gradita/sgradita dal paziente in virtù del fatto che si voglia dare un rinforzo positivo o negativo.

Si deve a Joseph Wolpe (1915-1997) la successiva introduzione di 2 concetti estremamente cari alla psicologia comportamentale: l’inibizione reciproca e la desensibilizzazione sistemica. Per inibizione reciproca si intende un processo di condizionamento che si basa sul concetto di rinforzo negativo. La desensibilizzazione sistemica è invece un concetto sviluppato da Wolpe in cui si crea un “cortocircuito” portando la persona in uno stato profondamente rilassato e poi, contemporaneamente, si somministra uno stimolo ansiogeno al fine di desensibilizzare il soggetto allo stimolo stesso. Desensibilizzazione sistematica: Come già visto nel capitolo precedente la desensibilizzazione sistemica è una delle 2 scoperte principali fatte da Wolpe. Concetto base: Desensibilizzazione a un agente ansiogeno o fobico. Questa forma di terapia funziona creando progressivamente una nuova neuroassociazione. Viene anche definita: terapia d’esposizione graduale, in quanto la nuova neuroassociazione si crea progressivamente. Modalità operativa: Creare una situazione di calma e di comfort e poi esporre gradualmente all’agente ansiogeno o eventualmente fobico. Si aiuta il paziente a raggiungere uno stato di profondo rilassamento e poi lo si espone gradualmente dell’agente fobico. Ciò può essere fatto realmente o mediante immaginazione. Esempio: Per fare un esempio chiarificatore immaginiamo di avere un paziente che ha paura dei cani e la sola visione di una foto che rappresenta un cane lo spaventa a morte. Si inizia con la fase di rilassamento e una volta raggiunto un livello soddisfacente di rilassamento si chiede di mantenerlo mentre si mostra una foto in lontananza di un cane. Quando il paziente si sente desensibilizzato a quello stimolo allora si fornisce via via uno stimolo sempre più intenso, si può avvicinare la foto fin quando la persona riesce a vedere la foto senza che si attivino risposte fobiche o ansiose per poi passare alla visione di piccoli cani da lontano proseguendo con esposizioni a animali sempre più grandi e più vicini. È necessario fare attenzione a non decidere a priori quale sarà il cane che darà risposta fobica maggiore e quale sia la distanza accettabile per il paziente, ma bisogna evincere questa informazione dall’intervista preventiva da effettuare al paziente. La qualità delle informazioni estratte nella fase conoscitiva è estremamente importante per la riuscita della tecnica. Immaginiamo due situazioni differenti: nella prima abbiamo un paziente che soffre di paura dei cani di grossa taglia e la sola visione dell’animale, anche in lontananza, produce la condizione fobica, nell’altra abbiamo un paziente che soffre sempre di fobia dei cani di grossa taglia ma riesce a gestirla quando questi animali sono legati o tenuti al guinzaglio. La procedura, sebbene formalmente uguale, partirà da condizioni differenti in quanto l’elemento di innesco è differente. Per questo è opportuno indagare qual è il livello di soglia tollerabile della reazione e ovviamente questo cambierà di soggetto in soggetto. Si parte desensibilizzando l’elemento soglia e ci si sposta progressivamente verso elementi più stressanti. La stessa tecnica viene utilizzata in fisioterapia per desensibilizzare i pazienti che hanno sviluppato fobie di movimento. La tecnica, conosciuta in ambito riabilitativo come “graded exposure”, prevede proprio l’esecuzione di movimenti che producano un livello di paura e ansia che il paziente si sente in grado di gestire serenamente. L’esposizione ripetitiva a questi m o v i m e n t i p r o d u c e u n a desensibilizzazione. A questo p u nto si p uò i ncrem e ntare successivamente. Questa tecnica di comprovata validità clinica ha il limite che richiede tempi lunghi al fine di poter desensibilizzare completamente il paziente.

POSSIAMO FARE DI MEGLIO?

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente le tecniche comportamentali sono di comprovata efficacia sebbene presentino il limite di avere dei tempi lunghi per poter dare risultato. Cosa possiamo fare per aiutare più velocemente i nostri pazienti? Come sicuramente ricorderai, il comportamentismo si fonda sul principio base che è lo studio del comportamento esteriore piuttosto che dei processi mentali interni non osservabili. Questo principio, che ha costituito la forza del comportamentismo, ne costituisce anche il suo limite. Agire sul comportamento, a volte, può voler dire lavorare indirettamente sullo schema mentale che lo produce e questo spiega la lentezza nell’ottenimento di risultati. Per questa ragione, le tecniche che lavorano direttamente sul processo mentale, possono dare risultati più veloci. Un esempio mirabile di questa affermazione è la tecnica di rimozione veloce delle fobie proposta dalla Programmazione NeuroLinguistica. Questa tecnica, secondo quanto pubblicato sulla rivista Complementary Therapies in Clinical Practice (16 (2010) 203 e 207), è un trattamento di successo per le fobie e inoltre è particolarmente efficiente visto il tempo relativamente breve per ottenere un miglioramento. Questa tecnica, infatti, necessita di solo 15-20 minuti per determinare la rimozione della fobia. La cosa fondamentale da comprendere è che il fisioterapista può utilizzare tecniche comportamentali o quella descritta dalla PNL per la rimozione delle fobie solo ed esclusivamente per le patologie di competenza fisioterapica.

Questo articolo è stato scritto in collaborazione con Claudio Nencini, Fisioterapista